Tibet: anniversario della rivolta anti-cinese, oggi manifestazioni in Italia

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E' alta la tensione in Tibet e nelle regioni della Cina con forti minoranze tibetane in occasione del 50esimo anniversario della pacifica rivolta contro l'occupazione cinese. Oltre cento monaci sarebbero stati arrestati. A far scattare l'allarme tra le forze dell'ordine della Cina è stata la protesta scattata nella giornata di ieri nella provincia occidentale di Qinghai, dove decine di manifestanti hanno preso di mira un'auto della polizia e un mezzo dei vigli del fuoco in segno di rimostranza contro il fermo di uomo a un posto di blocco. Per tutta risposta, quindi, le autorità cinesi hanno deciso di rafforzare le misure di sicurezza lungo la frontiera montuosa che delimita il Tibet del sud.

In un messaggio il Dalai Lama si è detto preoccupato per la tensione crescente in Tibet che potrebbe portare a scontri e nuovi morti e arresti, come nello scorso anno. Le autorità cinesi continuano a criticare il Dalai Lama insieme col il suo governo in esilio, che costituiscono - per Pechino - "una minaccia per la stabilità della regione". Nei giorni scorsi anche il ministro degli Esteri, Yang Jiechi ha accusato il Dalai Lama di non essere "per nulla un leader religioso, ma politico", che cerca di "separare il Tibet dalla Cina". Yang ha anche criticato quei Paesi che danno inviti al leader religioso tibetano. "Le altre nazioni – ha detto – non dovrebbero permettere visite al Dalai e non dovrebbero permettergli di usare il loro territorio per attività secessionistiche".

Amnesty International ha chiesto al governo cinese di consentire l'ingresso in Tibet agli osservatori sui diritti umani e ai giornalisti e di porre fine alla campagna "Colpire duro", lanciata in vista delle proteste per il 50° anniversario della fallita rivolta del 1959. L'organizzazione per i diritti umani ha sottolineato che le crescenti misure di sicurezza poste in essere dalle autorità cinesi rischiano di esacerbare una situazione già tesa. "Misure estreme di sicurezza possono solo aumentare la tensione e causare ulteriori violazioni dei diritti umani" - ha dichiarato la portavoce di Amnesty International. Negli ultimi 12 mesi il controllo sulle informazioni provenienti dal Tibet è stato rigido. I giornalisti stranieri hanno potuto visitare la regione solo in visite guidate di gruppo organizzate dal governo, mentre agli osservatori dell'Onu sui diritti umani l'accesso è stato negato del tutto - segnala Amnesty.

Nonostante la chiusura della regione e il recente aumento della presenza militare, Amnesty International sta ricevendo segnalazioni di violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione tibetana: detenzioni e arresti arbitrari, prolungati periodi di carcere, negazione del diritto di espressione, associazione e riunione nonché del diritto dei tibetani di preservare cultura, linguaggio e religione. In un "libro bianco" diffuso un mese fa, il governo di Pechino ha sostenuto che tutte le proteste degli ultimi mesi non sarebbero altro che tentativi, da parte di forze anti-cinesi occidentali, di provocare disordini e di sostenere la "cricca del Dalai Lama", con l'obiettivo di ostacolare e dividere la Cina.

L'Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha accusato la Cina di commettere "genocidio culturale" in Tibet. L'associazione ha pubblicato un rapporto che documenta la distruzione della lingua, cultura e identità tibetana e l'assimilazione del buddismo tibetano. "Mai prima si è assistito a pressioni così forti da parte della Cina per assimilare la cultura tibetana, raggiungendo oggi il più alto numero di prigionieri politici da vent'anni a questa parte. Nel lasso di un solo anno e mezzo il numero dei prigionieri politici e degli scomparsi è aumentato di 40 volte, passando da 120 persone alle attuali 5.700" - riporta APM. "La comunità internazionale deve impegnarsi maggiormente per ottenere dal governo cinese la reale disponibilità al dialogo con il Dalai Lama per la ricerca di una soluzione pacifica della questione tibetana" - chiede APM. "Una escalation del conflitto in Tibet rischia la destabilizzazione non solo della regione ma dell'intera Cina. La comunità internazionale dovrebbe quindi sostenere con maggiore forza la posizione del Dalai Lama che chiede la reale autonomia del Tibet all'interno della Repubblica Popolare Cinese".

La ricorrenza di oggi sarà celebrata anche in Italia con una serie di iniziative e manifestazioni promosse dalla Comunità Tibetana in Italia.

Il 10 marzo 1959 il risentimento dei tibetani, dal 1950 sotto il giogo della repressione cinese, sfociò in un’aperta rivolta popolare. L’esercito di Pechino stroncò la rivolta nel sangue: 87mila civili tibetani furono uccisi e migliaia furono incarcerati - riporta l'Associazione Italia-Tibet. Il Dalai Lama fu costretto a lasciare il Tibet e chiese asilo politico in India. Nel marzo 2008 i tibetani esasperati dai continui soprusi e dalla negazione di ogni fondamentale libertà, insorsero con una serie di manifestazioni spontanee a Lhasa e in tutto il Tibet. I cinesi risposero con la stessa brutalità: i morti furono centinaia e, a tutt’oggi, si contano migliaia di arresti. "L'ondata di repressione lanciata dopo gli incidenti del marzo 2008 non si è mai fermata - scrive in un comunicato Reporters senza Frontiere. Le autorità si sono spinte lontano nell'imporre la versione ufficiale degli avvenimenti, fino a smentire l'esistenza di vittime tibetane. [GB]

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